L’abbondanza di acqua del Fiume Platani e delle altre sorgenti ha favorito, in passato, la costruzione di molti mulini nel territorio di Castronovo di Sicilia. Essi sfruttavano l’acqua dei fiumi o dei torrenti per produrre l’energia necessaria a mettere in moto il meccanismo per la macinazione del grano e, quindi, per la produzione di farina. Questo territorio è sempre stato caratterizzato da un’economia basata sull’agricoltura ed, in particolare, sulla coltivazione dei cereali, e la presenza copiosa di questi mulini testimonia proprio l’abbondante produzione di grano nella Comarca di Castronovo.
Castronovo di Sicilia che, tra i mulini alimentati dal Platani e quelli alimentati da altre sorgenti, contava ben 18 mulini, era il punto di riferimento di tutto il circondario, e anche i contadini dei paesi vicini (Cammarata, Lercara Friddi, Santo Stefano, ecc.) vi portavano il grano per la molitura. In questo territorio, i mulini si inseguivano ad una distanza di circa un chilometro, il tempo necessario per dare all’acqua la forza necessaria per la ripresa.
I mulini di cui si ha memoria sono: Refalzafi, Funtana Duci, Batia, Sassola, Due Porte, Santa Margherita, Gianlongo, San Marco, Scaletta, Mulinello, Ciolo, Ponte Vecchio, Cozzo, Costa di Santi, Nuovo, Carcarazza, San Pietro, Contessa.
Soltanto pochi di essi si conservano oggi in buono stato, altri, invece, sono totalmente abbandonati, con un elevato stato di degrado o sono addirittura ruderi, altri ancora non esistono più.
I mulini sono fortemente correlati alla presenza dei corsi d’acqua, venivano costruiti in prossimità di una derivazione dall’alveo di un fiume o torrente.
Da qui aveva inizio il corpo detto della prisa, ovvero il canale di alimentazione o acquedotto, che era scavato nel terreno e rinforzato al bisogno mediante opere murarie.
Il canale dell’acquedotto terminava nel canale verticale di carico, meglio conosciuto come la botte, uno degli elementi più importanti del mulino, ossia un vano in pietra a forma di tronco di piramide. Durante il lavoro di molitura, la botte doveva rimanere sempre piena d’acqua, in modo da assicurare la pressione necessaria per attivare il movimento della ruota.
Il primo elemento calcareo superiore della botte veniva chiamato guorgia, l’elemento più basso, invece, ovvero all’inizio del cono, dove veniva praticato il foro di uscita dell’acqua, era chiamato capo cono.
L’edificio del mulino dove si svolgeva la molitura del grano era composto da un grande vano addossato alla botte, con un’impostazione altimetrica che permetteva la formazione del garraffo nel vano sottostante. Nell’edificio era anche compresa una stalla per ospitare le bestie da soma. Lateralmente alle pareti, ed anche all’esterno erano costruiti dei sedili in muratura, chiamati giuttene, per l’accatastamento dei sacchi di frumento e farina, e per dare riposo ai clienti in attesa di molitura. La meccanica del mulino ad acqua a ruota orizzontale è estremamente semplice, costituita da elementi indispensabili per trasformare l’energia del salto d’acqua in energia meccanica per la rotazione della mola. Le mole rappresentano il cuore di questo ordigno meccanico, una inferiore fissa ed una mobile, provviste di foro centrale.
La macina fissa, è chiamata anche frascino o dormiente, giaceva su una base solida in modo da garantire stabilità e resistenza al trascinamento della ruota mobile, oltre ad essere perfettamente orizzontale. Era collocata sopra la volta del garraffo, in questo modo era garantito il collegamento in asse verticale tra la mola e la ruota.
La macina rotante che stava sopra quella dormiente era chiamata anche corrituri, o girante; ovviamente la sua superficie a contatto con la mola dormiente doveva essere parallela, per evitare il verificarsi di effetti di logoramento.
La macina mobile veviva sostenuta e trascinata in moto da un asse verticale metallico, detto spica. La spica, nell’estremità inferiore veniva inserita in un albero detto anche fusto o fuso di legno, incastrato con la ruota. Nella parte inferiore del fusto in legno, cerchiato con cerchi in ferro per mantenere la solidità e la continuità con la spica, veniva applicata la rota, messa in movimento dall’acqua che uscivae in pressione dalla cannedda.
La ruota costituiva l’elemento attivo del movimento del meccanismo del mulino. All’interno del mulino la trasformazione del grano in farina avveniva mediante la successione di: tramoggia, mole e farinaro. La tramoggia, è costituita da un contenitore in tavole in legno, a tronco di piramide rovesciata, sulla cui parte inferiore vi era il foro di uscita del grano. Alla tramoggia si accedeva, attraversando il vano del mulino, dalla parte posteriore mediante gradini in muratura o in legno.
Dopo avere subito il processo di trasformazione fra le mole, la farina veniva raccolta verso l’esterno per via della forza centrifuga e per l’attrito fra le mole, e fuoriusciva dall’apposito foro, lu vuccaloro. Attorno alle mole era sistemata una recinzione in legno, chiamata garbula, per impedire la dispersione della farina.
Tipiche sono le unità di misura del territorio castronovese sia per la misura estensiva dei terreni che per i cereali: garozza, mezzagarozza, sarma, caricu o mezzasarma, visazzotta, tumminu, miezzu tummino, u quartu, e mitatedda. Oggi l’unico mulino ancora presente nel territorio, quasi nella sua interezza, è il mulino Ciolo. Di alcuni degli altri mulini è possibile osservare solamente la prisa e la botte.
La tradizione popolare ci ha tramandato una poesia sui mulini:
LI MULINA DI LA XIUMARA
Cuntissa e San Pietro
a la mensa di li Patti
la Carcarazza è la ruvina di li Santi
Cozzu chinu di pali e tradenti
lu mulinaru di lu ponti chianci
Ciolu teni scola e nun fa nenti
lu Mulineddu è lu cchiù valenti
na sarma all’ura nun ci pari nenti
a la Scaletta ti tiranu li cunti
a Rafalzafi ammazzanu la genti.